L’opera qui riprodotta di Marisa Facchinetti realizzata ed impressa con i torchi di Laborintus è un acquatinta allo zucchero miscelato col blù di metilene. L’incisione racconta in tutta la sua evidenza la propria appartenenza al linguaggio “pittorico”. Timbriche e trasparenti tratteggiate, pennellate muovono e si dispongono in una sequenza di segmenti “dipinti” con valore di segno rifratto, tra sovrapposizioni cromatiche decise, fino al più lieve lirico chiarismo, per un ordine orizzontale ridisegnato su un impianto verticale. Per Marisa non esiste soluzione di continuità sia in pittura o nella grafica, o multiplo, semmai possiamo rilevare delle variazioni dovute a un atto di riflessione diverso da come avviene solitamente nella realizzazione del processo tecnico dell’opera incisoria. La formazione della Facchinetti risale alla metà degli anni ’60 nel suo lago Maggiore, dove le prime prove sono senza alcun dubbio scaturite da una sensibilità sollecitata e sviluppata anche attraverso l’importanza di vivere vedere immergersi in quei luoghi. Questo grande lago-mare per eccellenza luogo di luce e di confine. L’ampiezza e la rifrazione dei suoi riflessi. Uno specchio d’acqua dove gli elementi naturali e la regia di nuvole e stagioni si intersecano con il declinare dei colori. Ma se dalla prima fase è già lontana la pura mimesi, l’artista ne registrava però il profondo segno identitario, immaginarie onde e speculari segni liquidi liquidissimi segni, contrapposti da contrasti aspri ed energici per equilibri non più naturalistici, ma per una ripartita visione del campo indagato interiorizzato e in divenire. Nella sua complessa formazione sia “naturalista” che esistenziale ci sono da rilevare alcune analogie con altri artisti, ad esempio Antonio Calderara il Maestro di Vacciago fino all’utilizzo dello spettro segnico cromatico di Dorazio, e poi per certi movimenti calligrafici, viene alla mente l’opera di Alberto Bardi e del ticinese Massimo Cavalli. E’ da tempo che le sue opere ci riconsegnano come “memoria e futuro” una pittura che nel suo mutare non rinuncia al concetto stesso di luce e ciò è pienamente risolto in questa incisione, in cui l’impianto monocromatico sovrappone trasparenze impreziosite da tracce dipinte a mano, rendendo di fatto questi multipli come opere uniche.
Bruno Aller