Da sempre Frare si dimostra affascinata dai contrasti, dalle situazioni forti, naturali o meno, che s’impongono alla sua sensibilità anche in virtù della difficoltà a trasformarle – attraverso mediazioni di natura intellettuale – in cose altre, diverse da loro e dunque più facilmente governabili. Situazioni e paesaggi originari che coinvolgono l’uomo per la loro ambigua bellezza e per la capacità di mettere a nudo i meccanismi primari della vita: l’eterna battaglia fra la luce e l’ombra, fra il bene e il male, fra la vita e la morte. Tuttavia, quello che da sempre affascina nell’arte di Frare, così apparentemente stringata nei mezzi espressivi (ha rinunciato da subito e quasi del tutto alle malie del colore) eppure così straordinariamente ricca e articolata, è la sua libertà nell’affrontare i meccanismi che danno origine all’impulso creativo, accettando ciò che la vita o le strategie dell’inconscio o della memoria le mettono sotto gli occhi: partendo – o invece talvolta approdando – (d)a esplicite figurazioni – oppure dando vita a immagini, a visioni così ostinatamente astratte da aver reciso seccamente ogni legame con l’universo delle forme sensibili.Insomma, il suo giocare a rimpiattino con la forma e i suoi processi generativi, la sua attitudine dichiaratamente gestuale (ma nella quale è lunga la gestazione che dà origine al segno e avviene a livello di meccanismi profondi e non sempre consapevoli), collocano il suo lavoro entro un orizzonte operativo nel quale figurazione e astrazione rimandano continuamente l’una all’altra senza timore né pudore. La sua ostensione della natura primigenia del mondo(che resta tale anche in quello delle sensazioni) si associa alla riflessione sul tempo, delle ere geologiche, della storia dell’uomo come dell’esistenza individuale e sul meccanismo di trasformazione che il tempo opera sulla fisicità delle cose. Come la dialettica fra nero e bianco, fra luce e ombra è serrata nel suo lavoro, così è fecondo il cortocircuito scoperto fra l’avvicendarsi lunghissimo della storia e l’attimo fuggevole dell’esistenza; dimensioni imparagonabili che è possibile rendere più eloquenti e praticabili affidandosi alla illusoria verità di un innesto fotografico. Nell’incisione Stati antagonisti realizzata per il Club 365, la profonda frattura di nero che frana dall’alto si alleggerisce e acconsente al filtraggio della luce mentre la trama dei segni, serrata o distesa, continua a contenderle il campo.
Daniela Fonti